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sabato 13 ottobre 2012

Contrappasso



Contrappasso – la X non indica mai il punto dove sparare.


- Merda, non ce la faremo.
Il cuore gli pompava acido nelle gambe stremate e la schiena era un giunco sul punto di spezzarsi: era quasi un’ora che scappava tra gli edifici abbandonati di El Rio con Samir sulle spalle. La consapevolezza che non avrebbe potuto continuare fino all’alba gli calò sulle ginocchia, pesante come un macigno.
Si guardò rapidamente attorno prima di imboccare un piccolo pontile che spariva tra le palafitte.
- Qui saremo al sicuro. Almeno per un po’.
Il piccolo emporio in cui avevano trovato rifugio li flagellava con il lezzo di muffa e vettovaglie rancide, l’aria collosa gli si insinuava nelle narici, facendogli sentire il sapore di quella puzza in fondo al palato.
Almeno coprirà l’odore di sangue.
Geko, stremato, rovinò a terra. Stessa sorte toccò all’amico sulle sue spalle che, incapace di reagire, urtò a peso morto uno spigolo con la gamba malmessa. Samir si morse il bavero della giacca e pigiò le mani sulla ferita nel tentativo di arginare il dolore, ma le fitte si susseguivano troppo rapide e, dopo pochi secondi, gli scappò un gemito.
- Smettila di lamentarti, Samir. Ci farai scoprire.
- Merda, Geko, fa un male del diavolo.
- Lo so, ma devi stringere i denti se vogliamo sopravvivere.
Si scostò i lunghi capelli biondi dalla fronte e li bloccò indietro con il cappello. In un disperato tentativo di far smettere i conati di vomito, si sollevò la bandana fin sopra il naso prima di dirigersi verso la finestra: incredibile come un lembo di stoffa che accumulava sporcizia da mesi potesse sembrargli tanto profumato, inspirò compiaciuto l’acre odore del proprio sudore, a pieni polmoni. Attraverso il piccolo spiraglio aperto nella tenda scura, la tenue luce delle stelle non rivelava nulla, sembrava tutto tranquillo. Solo lo scroscio dell’acqua, unito al cigolio delle porte del saloon mosse dal vento, turbava il silenzio in cui erano immerse le rovine dell’antico borgo fluviale.
D’un tratto, con la coda dell’occhio, gli parve di scorgere una silhouette nera muoversi furtiva sui tetti degli edifici di fronte.
Samir si lasciò sfuggire un altro gemito.
- Shhh, sono arrivati, non fiatare. Sei un Cacciatore, per Dio, tira fuori le palle.
Ma la ferita del mulatto era troppo profonda, il pavimento era già macchiato del suo sangue e lui continuò a rantolare.
Speriamo che il rumore dell’acqua basti a coprirlo.
Geko riprese a spiare fuori dalla finestra, il numero di quelle creature maledette era già salito a quasi una dozzina, si aggiravano sulle case fiutando l’aria ma, per fortuna, pareva che nessuna fosse sulla strada giusta per trovarli. Controllò l’orologio da taschino: mancava poco meno di mezz’ora all’alba. Forse avevano una possibilità.
Samir gemette ancora e, attraverso il tendaggio, Geko vide un paio di figure girarsi di scatto verso di loro, come a tendere l’orecchio per ascoltare meglio.
- Merda, ci hai fatti scoprire.
Si guardò attorno alla ricerca di una soluzione, di una via di fuga, ma la gamba del suo compagno era ridotta male e perdeva troppo sangue, in due non sarebbero andati lontano. Controllò il cinturone: i proiettili allo zolfo erano finiti, glien’erano rimasti solo tre di legno e sei d’argento con la punta incisa. Non sarebbero bastati.
Guardò di nuovo fuori dalla finestra: le creature stavano cominciando ad avvicinarsi guardinghe all’emporio, passando silenziosamente di tetto in tetto. Un paio di minuti al massimo e sarebbero state su di loro. A quel punto, essere il miglior pistolero sulla faccia della Terra non sarebbe servito a molto.
Geko prese il coraggio a due mani, sapeva quel che andava fatto. Saltò rapido a cavalcioni dell’amico ed estrasse il coltello.
- Mi dispiace Samir, non c’è altro modo. Tu non hai possibilità, e io non posso lasciare che ti prendano vivo e ti trasformino in uno di loro.
Gli appoggiò la punta della lama nel centro del petto e si preparò ad affondare col proprio peso.
- Geko, no, ho ancora tre proiettili,- replicò il ragazzo, cercando con la mano la fondina della sua inseparabile colt custom,- ti prego, combattiamo. Manca poco all’alba, possiamo farcela.
- Non rendermelo ancora più difficile.
- No, ti imploro, ti scongiuro, non farlo, sei il mio migliore amico!
Singhiozzò disperato in un ultimo, estremo tentativo di salvarsi la vita.
- Perdonami.
Con una mano gli tappò la bocca e con l’altra premette sull’impugnatura. Lo sterno tentò una vana resistenza prima di spezzarsi e permettere alla lama di farsi strada tra le carni.
L’urlo si sentì appena, smorzato dalla pressione della mano sulle labbra. Geko estrasse il coltello e lo ruotò di novanta gradi, poi affondò di nuovo.
- Scusami, ma non posso correre rischi. Lo sai, tutto il tuo cuore dev’essere inservibile.
Si alzò e tolse la mano dalla bocca di Samir, che cominciò a gridare. Ci avrebbe messo circa un minuto a morire, giusto il tempo di attirare quelle belve su di sé e dare a lui il tempo di fuggire.
Geko era quasi a una cinquantina di metri dal fiume quando sentì il rumore delle assi di legno che si infrangevano. Continuò a fuggire senza voltarsi, mentre il cielo all’orizzonte cominciava ad assumere le tinte azzurre dell’aurora.
Addio, amico mio, la tua morte non resterà impunita.


1 anno dopo

Da quasi un’ora gli ultimi raggi di sole erano stati inghiottiti dall’orizzonte, il vento gelido stava finendo di strappare al terreno quei pochi stralci di tepore che ancora riusciva a emanare.
Geko non smetteva mai di sorprendersi per quanto quelle lande desolate sapessero cambiare volto in poche ore: infuocate di giorno, ghiacciate di notte. I due volti dell’Inferno.
Un rumore di zoccoli al galoppo risuonò in lontananza, non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi a controllare: nessuno capitava per caso in un posto del genere.
L’animale si fermò sbuffando a una dozzina di metri da lui, il cavaliere rimase fermo in silenzio.
- Sei in anticipo.
Geko gettò la pala sul terreno e, con un piccolo balzo, saltò fuori dalla buca che stava scavando.
Batté le mani sui jeans per disperdere la polvere e si sfilò la bandana dalla fronte. I lunghi capelli biondi, intrisi di terra e sudore, gli caddero sulla nuca, li spostò per asciugarsi il sudore dal collo.
- Ho ricevuto il tuo messaggio,- disse indicando la colt custom accanto alla pala, - ma non ti aspettavo tanto presto. Come puoi vedere, non ho ancora finito.
Samir sollevò lievemente la tesa del cappello, permettendo alla tenue luce della luna di illuminargli il volto olivastro. Smontò dal mustang e il vento gli scostò il lungo cappotto consunto, scoprendo la sciabola in acciaio intarsiato d’argento che gli pendeva dal fianco.
- Perché stai scavando due buche?
- Sono un tipo previdente, non si sa mai come vanno a finire queste cose.
Si scrutarono a lungo accarezzando dolcemente le armi: aspettavano di vedere negli occhi dell’altro quel lampo che tutti i pistoleri imparano presto a riconoscere.
Nessuno dei due, tuttavia, sembrava avere fretta di farla finita, così Geko riprese la pala e saltò di nuovo nella buca.
- Pensavo serbassi più rancore, amico mio, morirò senza averti mai visto in preda all’ira.
- Una volta mi hai visto supplicare, fattelo bastare.
Sorrisero entrambi amaramente: in quell’ultimo anno, rabbia e senso di colpa non avevano fatto che crescere e ora si stavano pericolosamente incontrando, come un fiammifero e una santabarbara. La tensione nell’aria era palpabile.
Samir fece per infilare la mano nella tasca interna del cappotto, Geko lo vide con la coda dell’occhio e, prima ancora che la mano dell’amico raggiungesse il bavero, aveva già la pistola puntata verso di lui con il cane alzato.
- Mi ero quasi dimenticato di quanto fossi dannatamente veloce ma, rilassati, sto solo prendendo…- lentamente continuò il movimento estraendo una piccola armonica, -…questa.
Lunghe note malinconiche riempirono l’aria della sera, mentre la luna risplendeva opaca sull’enorme distesa di terra assetata.
Geko, rassegnato, si guardava spendere le sue ultime ore con l’amico, perso nell’amarezza consapevole di un silenzioso rimpianto.

Era quasi mezzanotte quando, finalmente, le due buche furono ultimate.
Sempre con la mano pronta a scattare verso la pistola, Geko si sedette su una pietra e fissò calmo l’amico.
- Vuoi farlo subito?
Samir smise di suonare. Si battè due volte l’armonica sulla coscia e piccole gocce di saliva punteggiarono il tessuto asciutto dei pantaloni
- Prima vorrei farti una domanda: ti senti in colpa?
- Sai bene che non avevo altra scelta! E ora, vedendoti ridotto così, il mio unico rimpianto è di non aver spinto la lama più a fondo.
- Quindi te ne sei accorto?
Geko indossò il poncho, si strofinò le mani, e tese i palmi verso il piccolo fuoco che crepitava tra loro: non voleva che il freddo della notte gli intorpidisse il corpo prima dello scontro.
- Sì, appena sei smontato da cavallo.
- Che cosa mi ha tradito?
- La spada: loro non usano pistole né fucili, c’è lo zolfo nella polvere da sparo. E poi non avresti mai abbandonato la tua colt se non per necessità.
- Sono davvero impressionato. Anche in preda all’emozione del nostro incontro, sei rimasto sempre il solito lucido figlio di puttana a cui non sfugge nulla. Sei sempre il migliore, Geko, mi fa molto piacere.
- Non si sopravvive a tanti anni di Caccia senza usare il cervello. Ma, prima di morire, toglimi una curiosità: come hai fatto a cavartela quella notte?
- All’inizio nemmeno io riuscivo a spiegarmelo, ma, sai, la mia nuova condizione mi ha donato anche una rinnovata coscienza di me: ho scoperto che il mio cuore è un po’spostato rispetto al centro. Curioso, vero?
Il mulatto si alzò in piedi e si slacciò la camicia, mostrando il petto all’amico.
- Proprio qui.- continuò puntando il dito qualche centimetro più a destra della grossa cicatrice a forma di X, - a proposito, ti piace il segno che mi hai lasciato? Tutti i giorni mi ricorda che, per salvarsi la pelle, persino gli amici più cari ti mettono una croce sopra.
Rise amaramente.
- Senti, Samir, se sei venuto per avere la tua vendetta, beh, facciamola finita subito. Io sono pronto.

I due si fronteggiavano da una decina di passi di distanza, immobili nella notte, mentre il focolare faceva danzare senza sosta le loro ombre sul terriccio polveroso. A ogni crepitio, i nervi si facevano sempre più a fior di pelle: ognuna di quelle microscopiche esplosioni faceva scattare impercettibilmente le mani verso le armi.
Fu Samir a rompere gli indugi. Scattò in avanti estraendo la sciabola e caricò in linea retta il suo ex-amico, tenendo il focolare tra loro per ostacolargli la vista.
Geko vide il lampo negli occhi del suo avversario e la sua mano ripeté fulminea il gesto che, negli ultimi dieci anni, le era diventato tanto familiare: in una frazione di secondo estrasse la pistola e fece fuoco.
La punta della spada si alzò in un riflesso sovrannaturale e la pallottola andò a impattare contro il filo della lama. Il rumore dell’argento contro l’argento risuonò acuto mentre il proiettile inciso si disintegrava in mille schegge. Samir le sentì investirgli il viso e il suo urlo di dolore si perse nell’eco del suono metallico.
I frammenti gli avevano tuttavia inferto solo ferite superficiali, non sufficienti ad arrestare il suo slancio. Coprì con un balzo la distanza che li separava e la lama scintillò mentre il fendente scendeva in diagonale sul pistolero. Geko lo vide che era già molto, troppo vicino. Scartò di lato e sparò ancora. Sentì il colpo andare a segno mentre la spada si apriva un varco attraverso il poncho e il cinturone raggiungendo le carni. Il biondo ruzzolò a terra imbrattando la polvere di sangue, fece una capriola e si mise in ginocchio con la pistola puntata contro le tenebre. Di Samir nessuna traccia. Strappò quel che rimaneva del poncho e gettò a terra la cintura, poi arretrò cauto verso il fuoco guardandosi attorno.

Il mulatto, nascosto nell’oscurità, cercava di rimanere concentrato, la pallottola d’argento si era disintegrata nel suo braccio sinistro e, a ogni movimento, quelle miriadi di frammenti gli procuravano un’infinità di fitte lancinanti, bruciavano da impazzire.
La sua lucida determinazione lo spinse a fare quello che andava fatto: si puntò la lama sotto la fine della clavicola, appoggiò l’elsa a terra e si lasciò cadere. Il filo d’argento della sciabola penetrò le carni come fossero burro e andò a infilarsi tra la scapola e l’omero. Uno strattone deciso verso il basso e il braccio cadde a terra, staccato dal resto del corpo.
I vantaggi di non avere un cuore che batte, non si può morire dissanguati.
Riprese in mano l’arma e posò lo sguardo su Geko che, inginocchiato accanto al focolare, si guardava attorno nervoso.
Perfetto, mi sta dando le spalle.
Samir si mosse furtivo verso la zona illuminata, sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima chance: ancora una, massimo due pallottole e sarebbe caduto. Non poteva fallire.
Arrivato al limitare della luce, spiccò un salto, voleva arrivare addosso a Geko dall’alto. Tuttavia, i sensi del pistolero, acuiti dal pericolo, intuirono lo spostamento d’aria. Si voltò fulmineo e sparò altri due colpi che solcarono l’aria senza impattare contro alcunché.
Il mulatto gli piombò addosso menando un altro fendente che squarciò il petto dell’umano lungo l’altra diagonale.
Così ora anche tu avrai la tua X.
Entrambi finirono a terra avvinghiati e, nel tempo di un istante, i loro sguardi si incrociarono. La spada si fece strada nell’addome di Geko, che esplose gli ultimi due colpi a bruciapelo nel petto di Samir, appena più a destra della cicatrice.
- Due buche, odio avere sempre ragione. Sai, amico mio, credo che la morte sia un piccolo prezzo da pagare per quello che ti ho fatto. Perdonami.
Dagli occhi dell’umano stillò una lacrima.
Samir si lasciò andare su di lui a peso morto e, appoggiandogli la testa nell’incavo del collo, gli sussurrò all’orecchio:
- Sono contento che la pensi così, amico mio. Mi hai liberato dalla mia dannazione eterna, ma sono un uomo di parola, mantengo sempre le mie promesse. Con questo io ti perdono.
E gli affondò le zanne nella gola, rigurgitandogli in circolo tutto il sangue che poté, prima di perdere i sensi tra le sue braccia.

- Maledetto bastardo. Mi hai contagiato!
La rabbia aveva donato nuove energie al corpo martoriato di Geko che, scrollatosi di dosso il suo nemico, strisciò verso il fuoco. Afferrò il cinturone e caricò la pistola con un proiettile d’argento. Senza esitare se la puntò al centro del petto.
Devo far presto.
Fece per premere il grilletto, ma una strana forza si impossessò di lui: più cercava di spararsi, più il suo dito non riusciva a compiere quel semplice gesto a lui così familiare: era come se il suo stesso corpo stesse rifiutando di togliersi la vita, obbedendo a un ordine dato da chissà chi.
Da dietro le sue spalle sentì provenire la voce gorgogliante di Samir:
- Non puoi ucciderti, Geko, in nessun modo: è il sangue, non te lo permette. Amplifica tutto: riflessi, forza, velocità e, ovviamente, l’istinto di sopravvivenza. Puoi morire solo ucciso da qualcuno più forte di te.- un sorriso sardonico si disegnò sul suo volto insanguinato, - e, nel tuo caso, sai cosa significa, vero?
- Cane maledetto!
- Buona dannazione eterna, amico!

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